Antonio Benci scrittore livornese e il “Viaggetto in Maremma” (I parte)

Le cronache dei viaggi ebbero un loro indiscutibile fascino, forse maggiore dei viaggi stessi, scomodi e faticosi. Furono raccontate, le più citate, nei libri dei signori mitteleuropei del Grand Tour tra sette e ottocento (v. gli articoli miei dedicati). Le cronache ‘nostrane’, a volte riguardanti percorsi simili, invece sono meno note e spesso inedite. Tuttavia, leggendole anche solo ‘al volo’, mostrano fatti e aspetti di rilievo come le altre ...
È il caso del Viaggetto in Maremma (1830) del livornese Antonio Benci, romanziere, storico e filologo, traduttore della Storia della guerra dei Trentanni di Friedrich Schiller (1822).

Nato a Santa Luce nelle Colline Pisane il 30 marzo 1783, è considerato livornese perché tale fu la madre Francesca Lorenzi e nella città passò gran parte della fanciullezza e formò famiglia. Studiò all’Università di Pisa scienze e lettere senza laurearsi. Trasferitosi a Napoli come istitutore privato vi trascorse un decennio. Viaggiò anche fuori d’Italia e nel 1831 fu esule in Corsica a causa della repressione dei moti risorgimentali. Tornato a Livorno, si unì in matrimonio e condusse vita più quieta con l’avanzare degli anni. Morì il 25 gennaio 1843.
Fra le sue opere inedite vi sono proprio i quaderni autografi delle cronache dei suoi viaggi, conservati alla Nazionale di Firenze. Riguardano i soggiorni a Caserta e in alcune città della Campania – descrisse pure un’eruzione del Vesuvio – (1813-17), l’Italia superiore e la Francia meridionale (1822), l’itinerario da Livorno a Genova (1829), la Romagna (1830), la Maremma sopra citata e il lucchese (1830), la Corsica (1831) e di nuovo la Francia (1838).

Il Viaggetto in Maremma ebbe come itinerarioun territorio di recente sotto attenzione granducale per le progettate e compiute bonifiche e quindi diventato ‘mitico’ per un intellettuale toscano che viveva in una città vivace e progredita – la Livorno di allora. Si può pensare pertanto che questo suo ‘laico’ pellegrinaggio fosse stato intrapreso d’impulso anche perché lo compì da solo, senza familiari o amici, con calesse a noleggio e vetturino, guardando a contenere le spese.
Si svolse in tredici giorni, dal 21 marzo al 2 aprile, seguendo due itinerari diversi all’andata e al ritorno. Una sua caratteristica è l’essere riportato in modo sintetico con brevi e curiose notizie su città e borghi, su monti e colline di zone poco considerate e quindi semi deserte e spopolate.
La parte da Livorno fino a Volterra è riportata qui di seguito ...

[Viaggetto in Maremma 1830]

“21 marzo.
Della strada da Ponsacco a’ Bagni. Alle 7 in Livorno. Alle 10 e mezzo in Ponsacco piccolissima borgata venti miglia da Livorno e venti da Volterra. Per qui passa la nuova strada che va a Volterra e che Rodolfo Castinelli ha diretta come ingegnere. [aggiunta] Grande olmo, detto l’Olmo.
Da Ponsacco ho voltato sulla diritta e dopo 7 miglia tra le colline, per buona via, e non troppa salita sono stato a’ Bagni di Casciana. La campagna è bella. Verso l’Era, che non si vede, linee di colli argillosi, ma nell’anfiteatro opposto sono tutti ulivi e colli vaghissimi. I Bagni sono in buca, ma salendo a’ poggi, v’è bella vista e vi sono bellissime passeggiate. Il locale de’ bagni è passabile. V’è bella piazza da potersi bene alberare. Crescono le case ma non è ora un bell’abitare. Ho mangiato alla locanda del Ghelardi: vi si mangia mediocremente, vi si può alloggiare discretamente e sono buona gente. Ho girato con uno di loro per i contorni. Quindi son ritornato a Ponsacco, e poi per tre miglia a Capannoli. Questo è bellissimo paese: spazioso, in bel colle, con bella vista sull’Era, e con le colline opposte e interne, coronate di villaggi e ville. Aria buona: mille e più abitanti sparsi per il comune, molte ville poco frequentate dai padroni, nessuna civiltà residente, e per conseguenza nessuna istruzione. Il Masi, più ricco de’ residenti, fa macello, fa spezieria,tiene gli altrui beni in affitto, e fa locanda. Per ora ha locale e letti, e voglia di servire, ma il servizio ha bisogno di farlo più preciso. Ho qui cenato mangiando poco perché non avevo fame. Il servizio è ora lungo e tardo perché l’alloggio è in una casa diversa da quella che il Masi abita. Ma egli fabbrica in bellissimo punto, e voglia di servire c’è.
Dopo dormito in Capannoli parto per Volterra. Ho preso a Livorno un calesse a lire 10 il giorno, pensando il vetturino a tutto per sé. Egli si chiama Ranieri Menghelli. È buon uomo, ha buon calesse e buon cavallo. Oggi tempo buono.

22 marzo.
A 7 meno un quarto son partito di Capannoli, via nuova, stretta, soggetta a franare in molti luoghi, del resto ben fatta. Per ora non c’è una casa vicina alla strada, da Capannoli a Volterra 18 miglia. Via piuttosto piana ma cortissima verso le falde di Volterra. Non v’è quasi vegetazione dal passo della Sterza in poi, da Sterza si passa vicino alla sua foce nell’Era, e per ora non ha ponte. Tutti gli altri botri e botricelli hanno i loro ponti. E non v’è fonstirivesci: l’acqua si fa scolare sotto la via.
Arrivato in cima a Volterra vi è una scorciatoia che mette subito in città. Ma andando con calesse o altro bisogna girare per un’ora, prima di rientrare in città.
La locanda migliore adesso è la Croce di Malta.
Arrivato alle 11 in Volterra ho fatto piccola colazione, e poi ho preso una buona guida con cui ho girato dentro e fuori la città per lo spazio di sei ore.
In piazza è il palazzo de’ Priori, ove nell’antico palazzo de’ podestà è la biblioteca che ora si riordina, ed è piccola. V’è il museo a terreno in stanze poco illuminate.
Bibliotecario è il canonico Topi. V’è qualche manoscritto ma non c’è catalogo.
Del museo sono moltissime urne rettangolari d’alabastro o di tufo con bassirilievi nella cassa, e figure sedenti sulla sinistra del coperchio. Vi sono medaglie, figurine, e vasi. Sono andato poi a San Francesco, nella qual chiesa è una cappella tutta dipinta, dicono da Cennino Cennini ma si può credere più antica. V’è un’iscrizione del 1315. La cappella serve alla compagnia della Croce di Giorno e fu fatta da’ Guidi.
Son poi uscito di città per veder le mura antiche. Il circuito era grandissimo; ma del vero antico ve n’è ben poco massime da’ fondamenti. Pare che vi siano rifondati ne’ più de’ luoghi, restato qualche pezzo di muro antico fra mezzo. V’è più del romano che dell’etrusco, ma v’è pure dell’etrusco e questo etrusco mi par differente alle mura d’Arpino. L’Inghirami chiama quelle mura d’Arpino mura ciclopee e quelle di Volterra mura pelasgiche.
In queste mura girando si vedono le balze. Chiamano così certi valloni ripidi d’argilla, ove è frana continua. Ma Volterra è sopra un colle da cui si diramano valli profonde come a costola de’ cunei. Vista dovunque orrida, massime che un gran nuvolato tingeva più tetra la nuda terra che sorge e per valli e colli tra monti, tutti appianati a chi guarda di quassù alto. Vedesi la Cecina per una valle e per un’altra l’Era, il mare e Pisa. Dalle balze sono sceso alla Badia convento di camaldolensi, come gli Angeli di Firenze. Vi son de’ quadri del Mascagni, e un Ghirlandaio, e due Gaddi, e il Giobbe capo d’opera del Mascagni.
Più verso la città v’è la chiesa di San Giusto assai bene architettata.
In città ho visto la chiesa di San Lino che ha prima una bassa volta, e poi per l’altra metà più elevata a soffitta. Vi sono de’ quadri qui e per tutto, ma la giornata è cupa, e si vede poco.
L’Inghirami fu la guida di Volterra e contorni.
Ho visto il domo o la cattedrale e il San Giovanni.
Poi la fortezza dov’è il maschio. Questo maschio è una torre dentro la fortezza rotonda dove son quattro o cinque carceri. Una bassa, ma in tante che vien in su’ passaggi ed anche col cappello, vi son le pedate del Felicini. Un’altra, più sopra e una pure più elevata, dove si mettono in penitenza i reclusi che mancano qui alla regola. Due poi giù basse son pessime, e a queste fece Leopoldo I levar le porte affinché non servissero più di prigione. Bella vista dalla fortezza. Vi recludono quelli che la pulizia condanna e che la giustizia non può mandare in galera.
Vi son magazzini per il sale. Il teatro nuovo è chiuso. Il seminario non ha che una bella vista dal prato.

23 marzo mercoledì.
A 7 ore scarse sono partito di Volterra. Scendendo sempre dopo quasi cinque miglia s’arriva alle moia. L’acqua salsa viene da un pozzo lontano due miglia. Qui si fa evaporare in caldaie poco profonde, per mezzo di fuoco di legna. Due grandi edifizi con nove di queste caldaie. Tutto questo presenta un bel villaggetto in un deserto. Il quinto miglio è subito dopo le moia.
Sono salito e ridisceso nella valle della Cecina che si è guadata con pochissima acqua. Brutto letto, e in mezzo a monti boscosi. Grande salita fino alle Pomarance. Dodici miglia da Volterra.
Pomarance era castello, di cui restano baluardi rotondi. Non è bella fabbricazione, ma la campagna è ben coltivata, e son belle colline o monti.
Da Pomarance, salendo, scendendo, siamo venuti sopra l’orrido villaggetto di Monte Cervoli. Qui, dove il legno non può accostarsi, ho mandato il calesse a rinfrescare a una casa di contadino detta la Casanova, portando però rinfreschi, che non v’è nulla. Appena v’ho trovato delle ova fresche.
Intanto però che il cavallo rinfrescava, sono sceso ai fumacchi, o Lagoni. Così dicesi un pezzo di valle sopra Monte Cervoli, dove sale gran fumo vaporoso dalla terra. E qui, dov’è un fumacchio, si apre un lago, dove si fa passare l’acqua di sorgente, la quale bolle fortemente e si riempie de’ gas che poi ha portato in altre vasche si fa evaporare e dà il sal boracico. Un pennacchio incanalato sotterra mantiene col suo caldo vapore sempre calde le caldaie.
Scendendo, e rapidamente salendo e riscendendo ecc. sono venuto a Castelnuovo, 20 miglia da Volterra.
Piccolo villaggio in monti, in uno bellissimo vallone, ampio, precipitoso. Bellissima forma delle montagne, natura decisa, Svizzera montuosa.
Gran salite, grandi scese, senza mai case, per continuo bosco da un monte in un altro, per altre venti miglia; a Massa Marittima verso un’ora di notte cioè alle 7. In dodici ore si sono fatte più di 40 miglia, e che strada difficile, affamati, assetati, vetturino e cavalli. In Massa dormo alla locanda di Giobbe, dove sono servito con molta attenzione …”.

Trascritto da Paola Ircani Menichini, I febbraio 2024. Tutti i diritti riservati.




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